
“Masaniello: 50 anni di fuoco, sangue e libertà“
NOTE DI REGIA DI ARMANDO PUGLIESE
(dell’edizione 1997)
Si dice “non si torna indietro” ma talvolta, oltre che istruttivo, diventa quasi una necessità farlo. In tutti gli anni che separano il primo debutto di Masaniello da quello di oggi, sono veramente cambiate tante cose intorno a noi, quindi dentro di noi. In questo arco di tempo però la memoria di questo spettacolo ha sempre seguito coloro che in varie forme vi parteciparono, soprattutto perché non esiste alcuna traccia documentaria da sottoporre alla prova del tempo.
La scadenza del 350° anniversario dell’avventura vissuta da Tommaso Aniello e dalla nostra Città ha determinato una data per un progetto di ripresa più spesso ipotizzato e sempre rinviato a causa delle più svariate ragioni. Ma la vera spinta è scaturita dal desiderio di radunare, oggi come allora, attorno all’impresa, una formazione di talenti recitativi e canori che potesse esprimere la grande forza della inesauribile tradizione teatrale napoletana. Nessuno degli interpreti di oggi era nell’edizione precedente e la maggior parte di loro ha vissuto un’altra storia teatrale, eppure certe radici non si cancellano.
Mi sembra perciò utile che un nuovo gruppo che si forma a Napoli e per Napoli, si confronti con un personaggio e una storia come quella di Masaniello, scomodo per qualsiasi odierna logica di potere e che condensa nella sua figura mitica un carico di storia non indifferente, per riportare alla luce ancora una volta, attraverso il Teatro, la sua funzione civile di riflessione nel senso più ampio del termine. È in questo contesto che la vicenda umana di Masaniello, quale simbolo del doloroso percorso di conoscenza dell’uomo, solo di fronte alle sue paure, continua a esercitare una forte attrazione sulla nostra immaginazione, e sono, come ero convinto prima, che in questo impasto sia avvolto il nucleo drammatico che ancora oggi ci affascina. Le sorti del Popolo Napoletano del 1647 vengono riesumate e partecipate da quel pubblico e quegli interpreti del 1974, da quello di oggi e, mi auguro, da quello che verrà. Che il Teatro torni alla sua funzione civile di riflessione umanistica nel senso più ampio del termine, oltre a essere stimolo per l’Immaginazione alla quale non dovremmo mai rinunciare.
LO SVOLGIMENTO DRAMMATURGICO, LA STORIA E LE STRANEZZE DI TOMMASO ANIELLO.
La rappresentazione si realizza sui fatti della rivolta popolare nel reame di Napoli nel 1647, e in particolare sui dieci giorni (7-16 luglio 1647) che videro a capo della rivolta Tommaso Aniello d’Amalfi detto Masaniello, fino alla sua eliminazione fisica dalla scena politica cittadina.
Lo spettacolo vuole essere popolare (e non popolaresco o folcloristico) per tre diversi ragioni:
La sua stessa struttura di realizzazione scenica, abolendo palcoscenico e platea, sfrutta le forme della festa di piazza, a confronto diretto con un pubblico eterogeneo libero di disporsi istintivamente per una migliore ricezione dei contenuti.
Una composizione drammaturgica non basata su un’interpretazione “a priori” dei personaggi e dei fatti di carattere psicologico e comunque colto, ma nascente da un’accurata indagine storica degli avvenimenti e dalla successiva esposizione anche attraverso la platealità, senza tralasciare le componenti di superstizione e di mitizzazione che nel popolo napoletano si ebbero sul personaggio in questione e sui personaggi storici collaterali.
• Lo sfruttamento, a tal fine, di mezzi idonei, utilizzando un linguaggio non deviato o corretto, ma attualizzato per una più facile comprensione, e di una colonna parallela di canti e suoni ottenuta attraverso l’uso dal vivo di strumenti e voci.
Dalla decisione politica di eliminare Masaniello, e quindi dall’inizio delle sue “stranezze”, fino alla sua uccisione nel convento della chiesa del Carmine e alla decapitazione, la rappresentazione riprende le forme e i ritmi di un rituale in cui vengono coinvolti tutti, a differenza del carattere festoso ricostruito nella prima parte.
La simbolizzazione del personaggio prende vita nell’animo popolare (come da documenti e testimonianze d’epoca). Masaniello è cosciente dell’evolversi della situazione, ma culturalmente impossibilitato a smascherare una trama molto più sottile.
Si parte dall’idea di una rappresentazione di piazza di derivazione medioevale e di una disposizione varia di palchetti ed elementi scenici, a cui il pubblico partecipa come ad un giuoco, con la possibilità di scegliere come fruire delle scene dello spettacolo e contribuendo, con tale partecipazione, al grande affresco della situazione sociale, politica ed economica di Napoli e delle province al momento dell’esplosione della rivolta.
Come prologo ai fatti tra il 7 e il 16 Luglio, la pubblicazione delle tariffe della nuova gabella sulla frutta e l’organizzazione della protesta.
Dall’insurrezione del 7 Luglio la rappresentazione perde man mano il suo carattere di gioco collettivo per concentrare progressivamente l’attenzione del pubblico sulle vicende successive: la distruzione delle baracche del dazio, l’invasione di Palazzo Reale e la fuga del Viceré nel convento di San Luigi, le direttive di Masaniello per l’organizzazione della milizia armata, le trattative tra Viceré da una parte, e Masaniello e Don Giulio Genoino dall’altra, per il ripristino dei privilegi concessi alla città da Carlo V, gli attentati al capopolo, la repressione dei banditi, l’organizzazione della giustizia a piazza Mercato e il corteo verso il Maschio Angioino per sancire i patti stabiliti.
L’IDEA SCENOGRAFICA
Negli anni 70, come giovani teatranti, vivevamo di fermenti, di speranze, di sperimentazioni, guardavamo alle avanguardie storiche, all’Espressionismo Tedesco, al Futurismo Russo, e poi dagli Stati uniti arrivavano gli echi del Cafè la Mama, del Living Theatre, nascevano cantine adattate a spazi scenici per sfuggire ai canoni vigenti del Teatro tradizionale. Io crescevo in una realtà speciale, considerata componente solida del Teatro ufficiale, quella di Eduardo, una personalità fuori da ogni regola banale, disponibile e curiosa nei confronti di qualunque innovazione. Non mi bastava. Il sodalizio parallelo con l’amico e compagno di studi Armando Pugliese stava per dare i suoi frutti. In un piccolo Teatrino romano, il Delle Muse, dove ci ritrovammo per uno spettacolo della allora nascente Nuova Compagnia di Canto Popolare, ci unì una parola magica, che sulla spinta emozionale delle rievocazioni musicali della nostra storia napoletana, si tradusse in “Masaniello”… Il nome ci affascinava, la storia delle sue vicende, pure. Non se ne parlò più, poi dopo alcuni mesi, Armando, che non aveva abbandonato l’idea, insieme al comune amico Elvio Porta, tirò fuori dal cilindro il progetto.
Ricominciammo a parlarne sulla base di dati concreti; eravamo reduci, lui da aiuto regista, io da giovane collaboratore, da un’esperienza entusiasmante: l’Orlando Furioso di Luca Ronconi. Avevamo visto recitare in greco antico Medea dal Cafè La Mama nell’angusto sotterraneo del Teatrino delle Sei a Spoleto, il Living Teatre nel Teatro Mediterraneo nella Mostra d’Oltremare… Avevamo voglia di emulare, crescere, superare, spaccare il mondo. E da teatranti come farlo, se non con i nostri strumenti? Cominciammo a ipotizzare il dramma collocato non su di un palco, offuscato dal diaframma affascinante di un sipario rosso, bensì di portare tra la gente le vicende che si sviluppavano tra il popolo di piazza Mercato e i protagonisti dell’opera. Mettere in scena una rivolta avrebbe richiesto la presenza di centinaia di comparse e investimmo il pubblico di questo ruolo…
I palcoscenici si sarebbero composti di volta in volta grazie a una serie di pedane spinte dagli stessi attori. Fu così che nacque, in maniera estremamente innovativa per l’epoca, quello che considerammo “L’uovo di Colombo”. La gente ondeggiava prima interdetta, poi via via sempre più coinvolta, assumeva le posizioni dettate dai movimenti dei nostri carri, si impauriva all’irrompere dei lazzari vocianti, allo sguainare delle spade, arretrava davanti alla follia di Masaniello, si commuoveva alle urla disperate di Bernardina, si lasciava andare alle note dei canti popolari che si propagavano nei vari angoli della piazza, si divertiva, accorreva, faceva largo al corteo del Cardinale, seguiva emozionata l’avanzare dei rivoltosi e dei loro stendardi verso il trono del Vicerè…
Un gioco meraviglioso e stupefacente, un Teatro innovativo, autentico, emozionante, coinvolgente.
Pensavamo che funzionasse sì, a Napoli….
Funzionò a Roma, nelle fabbriche occupate di mezza Italia, a Quarto Oggiaro, a Torino, Firenze, a Nancy, a Edimburgo, Zurigo… Ovunque nel mondo, il pubblico, immedesimato nel ruolo di popolo coinvolto e calpestato dalle eterne ingiustizie della vita, per qualche ora si sentiva partecipe e protagonista, viveva la “prova generale” di quello che nella realtà, forse, non avrebbe mai avuto il coraggio di fare, grazie a una grande storia recitata con energia ed entusiasmo e a quattro assi di legno, corde, ruote, luci, strumenti e trucchi di scena, costumi, a un diverso modo di fare Teatro.
Immaginando Produzioni ha riportato in scena la stessa opera, con nuova energia ma con l’emozione di sempre. Il pubblico, in piedi e libero di muoversi, interagisce con gli attori e con scenografie mobili, immergendosi in un ambiente suggestivo e coinvolgente che fa rivivere la storia e l’anima autentica di Napoli.Video

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Conferenza stampa presso il teatro di Palazzo Reale in occasione del 50º anniversario dello storico spettacolo di Masaniello. All’evento hanno partecipato rappresentanti istituzionali, artisti e protagonisti delle passate edizioni, che hanno ricordato l’impatto culturale e sociale dell’opera, simbolo dell’identità napoletana e del teatro popolare.
“Che emozione essere Berardina, mia antenata di 400 anni fa”
Nel “Masaniello” di Pugliese e Porta l’attrice e cantante Serena Pisa ha interpretato proprio la sposa del protagonista da cui discende. “Una paura costruttiva – racconta – per quel ruolo che era già stato di Angela Pagano e Lalla Esposito”
Servizio di Luigi Carbone – Montaggio di Francesco QuisisanaCondividi
“Ho scoperto con piacere che sono discendente del personaggio che interpreto. Me l’ha detto mio padre, pochi giorni dopo il provino e quando gli ho comunicato che ero stata presa mi ha detto: ma lo sai che sei una sua discendente! Mi ha mostrato dei documenti che lo attestavano e poi il certificato di battesimo e di matrimonio della donna”.
Nel “Masaniello” di Armando Pugliese ed Elvio Porta riproposto a Palazzo Reale in una versione fedele all’originale di 51 anni fa Serena Pisa è Berardina Pisa, moglie del capitano del popolo, il pescatore e pescivendolo rivoluzionario protagonista della rivolta del 1647 contro le tasse introdotte dal vicerè spagnolo. Una sommossa culminata nell’omicidio dello stesso Masaniello. Berardina, arrestata per contrabbando e liberata dal marito con 100 scudi, divenne simbolo della resistenza popolare.
Quasi quattrocento anni dopo a incarnare la sua determinazione è proprio una sua discendente Serena, attrice e cantante, anima insieme a Viviana Cangiano del duo Ebbanesis.
La rivelazione del padre che negli anni Ottanta effettuò una ricerca araldica “ha scatenato diverse emozioni – racconta Serena – Questo per me è stato uno spettacolo molto importante, come per tanti attori: il “Masaniello” di Armando Pugliese ed Elvio Porta rappresenta qualcosa di fondamentale per la storia del teatro. Quindi avevo addosso una certa ansia bella, una paura costruttiva. In più le attrici che avevano interpretato questo ruolo, Lalla Esposito e Angela Pagano hanno aumentato questa mia ansia perchè sono per me due mostri sacri”.
Lo spettacolo, con la supervisione alla regia dello scenografo Bruno Garofalo, ideatore di una macchina teatrale dinamica e immersiva con il pubblico chiamato a impersonare il popolo di Napoli, è patrimonio vivo della cultura partenopea: dopo il debutto nel 1974 era stato nuovamente allestito nel 1997 fino alla ripresa di quest’anno con Ruben Rigillo che ha raccolto il testimone di Masaniello dal padre Mariano e Silvia Siravo quello della viceregina dalla madre Cicci Rossini.
Una messa in scena dalla continuità e profondità temporale sorprendente come dimostra la storia di Serena che raccoglie un’eredità ancora più antica.
“Per interpretare Berardina sono partita dal ventre, dalla veracità – spiega l’attrice – Vivo il tradimento: quindi dall’inizio mi sento forse già un po’ tradita, già sento che sta per succedere qualcosa che a me non piace. Come se mi trascinassi già questo sentimento di dire al mio sposo ‘Dove vai, aspetta, vedi bene. Fai andare loro, non andare pure tu’. E quasi me la prendo con lui alla fine durante il monologo”.
Dopo essersi immersa anima e cuore nel personaggio Serena ha una convinzione: “Sarà sicuramente la cosa più bella che ho fatto e la cosa più bella che farò. Sono sicura che questa sarà la cosa più bella che mi porterò fino alla mia fine”.
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